RASSEGNA STAMPA

IL MANIFESTO - Una risposta comune a questo scandalo

Roma, 15 novembre 2008

COMMENTO
Una risposta comune a questo scandalo

Vittorio Agnoletto

Giovedì sera a Genova per la seconda volta è stata sospesa la Costituzione. Ma la verità è ancora peggiore: è stato formalizzato il diritto delle forze dell'ordine ad agire oltre e contro la Costituzione e le leggi dello Stato. La nostra legislazione non li riguarda, per loro è un optional.
Il loro status è modificato nei fatti; la correttezza delle loro azioni da ora in poi verrà giudicata dalla sintonia con la volontà del governo. I vertici della polizia presenti quella notte davanti alla scuola Diaz hanno agito secondo i desideri dell'allora governo Berlusconi, e per questo sono stati tutti promossi e non potevano essere certo puniti. Il prefetto di Roma, Carlo Mosca, che nel rispetto delle leggi italiane e delle direttive europee si è rifiutato di raccogliere le impronte ai bambini rom, è invece stato rimosso perché in contrasto con le indicazione del nuovo ministro degli Interni.
Si rende sempre più esile la distinzione tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario, che dovrebbe essere alla base di qualunque stato di diritto. Tanti sono gli esempi che vanno in questa direzione rintracciabili nella vicenda genovese. Ne cito uno solo: l'avvocatura dello Stato interviene nel processo a nome di tutti noi, cittadini italiani, ed anziché chiedere giustizia per le vittime e l'individuazione dei responsabili, attacca il pm e chiede l'assoluzione per tutti gli imputati. I magistrati giudicanti prontamente si adeguano, 13 assolti tra i quali tutti gli imputati di massimo riguardo. Il grande capo, Gianni De Gennaro, onnipotente e perennemente promosso da governi di ogni colore, ieri capo della polizia, oggi coordinatore di tutti i nostri servizi segreti, può così finalmente dormire sonni tranquilli: difficilmente troverà un Gip disposto a rinviarlo a giudizio per istigazione alla falsa testimonianza.
Ipocriti, sepolcri imbiancati. Non trovo parole diverse per definire coloro come Di Pietro, che oggi considerano auspicabile una commissione d'inchiesta parlamentare, dopo che con il loro voto l'hanno affossata durante il governo Prodi. Oggi, con un premier che in campagna elettorale ha dichiarato che l'unica commissione possibile sui fatti di Genova sarebbe stata quella contro i pm, questa proposta appare pura demagogia. Si può e si deve lottare insieme contro il lodo Alfano e contro le leggi ad personam, ma la difesa della democrazia richiede un impegno serio e continuativo, non qualche spot a singhiozzo e qualche improvvisata demagogica. Pesano come un macigno il silenzio e le poche e imbarazzate parole dei vertici del Pd, pietrificati dal timore che una critica verso la sentenza possa essere confusa con un attacco all'autonomia della magistratura; o forse, più banalmente, pronti all'ennesima rinuncia sui diritti individuali e collettivi nella speranza di ricevere ulteriori riconoscimenti da qualche «intoccabile» collocato nei gangli vitali del nostro Stato. La sentenza sulla Diaz non riguarda solo chi era a Genova, né solo le tante donne e uomini che documentarono quello che il potere avrebbe voluto occultare; la sentenza parla a tutti coloro che ritengono la Costituzione il tesoro più importante del nostro patrimonio comune. Giovedì sera non solo è stata replicata tutta la violenza di quella tremenda notte, ma è stato lanciato un forte avvertimento a tutti coloro che in Italia pensano ancora che sia legittimo poter manifestare pubblicamente il proprio dissenso. Nessuno può chiudersi nel silenzio; ognuno, singolo o forza collettiva, deve trovare la volontà e il coraggio per costruire insieme una risposta comune. Per non dimenticare Genova, per andare oltre il dolore e la vergogna di quelle giornate.